Messaggio alla Città
di monsignor Oscar Cantoni, Vescovo della Diocesi che è in Como.
Primi Vespri nella solennità patronale, 30 agosto 2021.
Cari amici, che anche quest’anno avete voluto rinnovare il vostro appuntamento in questa magnifica basilica, preziosa eredità dei nostri padri, nella festa di Sant’Abbondio, nostro patrono, Mi rivolgo a voi con questo interrogativo: COMO, CITTÀ DI FRATELLI? Vorrei che insieme, tutti i cittadini, credenti e non credenti, potessimo giungere a trasformare la frase così: COMO CITTÀ DI FRATELLI! (con il punto esclamativo). Affermazione troppo audace? Utopia? Eppure tutti possiamo avanzare, anche se lentamente e a fatica, verso questo obiettivo, passo dopo passo, purché lo vogliamo, lo desideriamo! È anche un omaggio ai tanti uomini e donne di buona volontà che già si prodigano ogni giorno nell’esercizio dei propri doveri personali, familiari, sociali ed ecclesiali. Un giusto riconoscimento alle tante persone che oggi sono impegnate per il bene comune nell’esercizio della loro professione, un bene che non è mirato a un profitto esclusivamente personale, ma che genera e realizza vantaggi per tutta la Cittadinanza, nessuno escluso. Siamo gente che non ama far rumore, che compie il bene con generosità, senza attendersi troppi riconoscimenti. L’individualismo, tuttavia, si insinua ovunque. È un vero virus da combattere, “il più difficile da sconfiggere” (FT 105), ma nella nostra Città non mancano significativi e convincenti esempi di solidarietà, anche se rimaniamo più frastornati da notizie allarmistiche che vorrebbero presentare Como come una città disattenta al bene comune, in cui non c’è affatto spazio né cura per i meno fortunati, anche se si potrebbe fare di più e con apporti più coordinati e non concorrenziali, insieme! Non è affatto così! In città ci sono molte oasi di ospitalità, accoglienza, amicizia sociale. È una corrente silenziosa, ma tenace di umanità solidale, semi da riconoscere e coltivare perché la nostra città possa fiorire. Sono, in realtà, davvero tante le persone, cristiane e non, di ogni categoria e provenienza, che con motivazioni diverse si prodigano per una società migliore, che non vivono indifferenti davanti alle difficoltà e al dolore altrui, che non lasciano che qualcuno rimanga ai margini della vita, in solitudine, che sognano un futuro migliore, ben consapevoli che “fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce”.
Vicinanza e solidarietà, nelle scorse settimane, nel corso delle calamità naturali del nostro lago e dei paesi limitrofi.
In questi mesi di luglio e di agosto le nostre popolazioni sono state sconvolte dall’irruenza del clima, che ha prodotto grandi esondazioni, con danni ingenti e che ha causato drammatici sconvolgimenti dei nostri territori. Frane e alluvioni sono il sintomo di un dissesto idrogeologico conseguente a scelte scriteriate di continua cementificazione e consumo di suolo, ma anche di una più generale incuria nei confronti della natura che ci ospita. C’è un proverbio che dice: “non tutto il male viene per nuocere”. A condizione, naturalmente, di essere disposti a imparare la lezione e correggere i nostri comportamenti. Cosa possiamo imparare da quel che è successo? “In momenti come questi, nei quali tutto sembra dissolversi, ci fa bene appellarci alla solidità che deriva dal saperci responsabili della fragilità degli altri, cercando un destino comune. La solidarietà si esprime concretamente nel servizio, che può assumere forme molto diverse nel modo di farsi carico degli altri. Il servizio è in gran parte aver cura della fragilità” (Fratelli tutti, 115). I segnali ci sono. Nelle scorse settimane abbiamo assistito a una grande manifestazione di solidarietà da parte di tante persone, accorse in aiuto degli abitanti dei luoghi colpiti dalla alluvione. Un ringraziamento sincero, quindi, a tutte le forze dell’ordine pubblico, ai militari, ai vigili del fuoco, alle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, ai tanti volontari che si sono messi a disposizione di chi poteva aver bisogno di aiuto. Così possiamo già vedere che il nostro sogno di fraternità e di amicizia sociale non è fatto di parole vuote, ma è capace di coinvolgere tante persone di buona volontà e diventare reale.
Unità e impegno nella pandemia
La pandemia, purtroppo ancora in atto, ha generato anche a Como danni incalcolabili, ha portato con sé la perdita di persone care, ha generato tante lacrime, lutti e dolori, sofferenze fisiche e problemi economici che hanno colpito alcuni più di altri e, come sempre, soprattutto i più poveri. Anche da questa infelice situazione occorre imparare a ricavare una lezione, immettendo gli “anticorpi della solidarietà”, che ci chiede di guardare i bisogni e i problemi degli altri. “Peggio di questa crisi, ha ricordato Papa Francesco, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi!”. Vivevamo convinti che le cose che non ci toccano non ci riguardano, coltivando il nostro “peccato originale”, che è l’individualismo e promuovendo la cultura della indifferenza. Tuttavia “il dolore, l’incertezza, il timore e la consapevolezza dei propri limiti che la pandemia ha suscitato, fanno risuonare l’appello a ripensare i nostri stili vita, le nostre relazioni, l’organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza” (FT 33). Ci siamo resi conto di non essere padroni assoluti della nostra vita e di tutto ciò che esiste. Abbiamo compreso che “siamo tutti sulla stessa barca“, che nessuno può salvarsi da solo, che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri “affinché l’umanità rinasca con tutti i volti, tutte le mani e tutte le voci, al di là delle frontiere che abbiamo creato” (FT 35). Ecco allora qualcosa che ci sorprende: da un male rinasce il desiderio di fraternità che non si ferma a un progetto ideale ma si realizza concretamente con l’apporto di tanti uomini e donne di buona volontà. Tante persone, nostri compagni di viaggio, presi alla sprovvista, si sono rese conto, durante la pandemia, che le nostre vite sono intrecciare e che la loro esistenza poteva essere donata, a partire dall’ impegno professionale, ciascuno secondo il proprio ruolo. Molti hanno cercato di condividere il dramma di tante persone, provate dalla malattia e le hanno seguite non solo secondo i protocolli professionali, ma considerandole come loro amici, e più ancora, come parenti e fratelli. È così che noi siamo divenuti debitori stupefatti di tante persone, che non si sono chiuse in un calcolo egoistico, ma hanno dato vita a relazioni profonde, di integrazione tra le generazioni e le diverse comunità. Il principio di solidarietà è divenuto più che mai necessario. Come non ricordare, ancora una volta, “medici, infermieri e infermiere, farmacisti, addetti ai supermercati, personali delle pulizie, badanti, trasportatori, uomini e donne che hanno lavorato per servire servizi essenziali e sicurezza, volontari, sacerdoti e religiose” (FT 54), ma anche forze dell’ordine pubblico, militari, vigili del fuoco, sindaci, membri del Servizio Civile, della Croce Rossa e dei numerosi gruppi di volontariato?
Ci è stata data la possibilità di comprendere che non è questo il tempo dell’indifferenza. In particolare le amministrazioni locali sono state chiamate a promuovere alleanze con tutti i soggetti educativi a partire dalla famiglia, dalla scuola, dalle parrocchie e dall’associazionismo. Abbiamo capito che non è questo il tempo degli egoismi. Siamo parte di un’unica famiglia, chiamati a sostenerci a vicenda. Continuiamo dunque a rifuggire da ogni divisione, anche nel futuro. Le nostre energie e le risorse economiche devono essere usate per curare le persone e salvare vite. Le nostre periferie urbane, sia ai bordi che al centro della Città, soffrono ancora troppe solitudini. Occorre favorire accoglienza e combattere la marginalità, il degrado e la illegalità. Solo da legami di amicizia sociale può scaturire una responsabilità condivisa da cittadini e istituzioni insieme, così come è espressa nell’enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco. “Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni. Dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite” (FT 7). Il tempo post pandemico si può rivelare una grande opportunità per realizzare buone prassi di ecologia integrale, che tengano insieme l’occupazione e la tutela dell’ambiente. Un grande piano di investimenti dovrà essere caratterizzato da uno sviluppo sostenibile, in un’ottica di economia circolare, da una urbanistica che freni il consumo del suolo e valorizzi il paesaggio, da un trasporto pubblico senza emissioni, dall’efficientismo energetico degli edifici, dalla corretta gestione dei rifiuti.
“L’effetto” don Roberto.
Il prossimo 15 settembre ricorrerà il primo anniversario della uccisione di don Roberto Malgesini per mano di un uomo, che egli aveva amorevolmente a lungo assistito. In quel giorno lo ricorderemo con apposite celebrazioni. Don Roberto è un dono prezioso per la città di Como. Un dono che va conservato e rigenerato. Per questo pensiamo sia bello fare della sua abitazione a San Rocco un luogo di memoria viva di quella vita fraterna che don Roberto ci ha insegnato, fatta di accoglienza, nutrita sempre dalla preghiera. Intanto mi sembra bello domandarci come la città di Como ha reagito di fronte a questo drammatico avvenimento. Cosa ha generato la morte di questo prete umile, semplice, veramente evangelico? Quanto ha inciso la testimonianza di don Roberto nel fare di Como una città di fratelli. Sono rimasto fortemente stupito e commosso per la reazione di tutta Como alla uccisione di don Roberto. Penso in particolare alla presenza massiccia dei Comaschi, coinvolti profondamente da una morte di un loro fratello sacerdote, la sera stessa della sua uccisione, durante la preghiera del rosario in Cattedrale e in una piazza Duomo gremita, colpiti al cuore da una sofferenza da tutti comunemente condivisa. Per non dire del giorno del suo funerale, alla presenza del cardinale Krajewski, inviato appositamente da Roma da papa Francesco.
Non ha prevalso la rabbia nei confronti dell’uccisore, ma l’inchino silenzioso e pieno di grande rispetto e gratitudine, davanti alla testimonianza, ricca di umanità, offerta giorno per giorno, da don Roberto, prete di tutti e per tutti. Non aveva facilità di parola don Roberto, ma egli ha parlato con l’intera sua vita e oggi continua a parlare ancora: la sua morte è una sconfitta solo apparente. Attraverso di lui sfolgora la luce del Risorto. Così oggi don Roberto continua a interrogarci: “Tu da che parte stai?” E aggiunge: “Non rassegnarti all’indifferenza, non girare la testa dall’altra parte lasciando, che crescano zone grigie di odio, risentimento e sfruttamento. Contribuisci all’inclusione degli ultimi, dei poveri e dei più vulnerabili. Tu fai la tua parte!”. Stimato dalla povera gente, che ha curato con delicatezza, proprio con cuore di fratello, ma anche amato da tanta gente comune, che egli accoglieva con uno sguardo sorridente, senza bisogno di troppe parole, don Roberto sapeva entrare immediatamente in una sana amicizia con ciascuno. “Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione. Noi acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi” (FT 195). Con don Roberto riconosciamo, tradotta nella concretezza di una vita vissuta, l’icona dolce della fraternità: non quella ideale, ma quella immediata e concreta. Una fraternità espressione verace di chi vive semplicemente il vangelo di Gesù, tanto da renderlo visibile con immediatezza dentro un contesto di vita quale è il nostro, che crede più agli occhi che alle orecchie. La cosa straordinaria è che la morte tragica di don Roberto continua a suscitare una corrente intensa di vita e di fraternità tanto da essere conosciuta e apprezzata in tutta Italia e anche al di fuori dei suoi confini. Ha lasciato emergere un’immagine di Chiesa tanto raccomandata da Papa Francesco, e che, come cristiani, desideriamo ardentemente di fare nostra: “Vogliamo essere una Chiesa che serve, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione” (FT 276).
Conclusione
Oggi più che mai occorrono luoghi e occasioni per pensare insieme la Città, per scambiarsi progetti, condividere sogni, per fare in modo che Como sia veramente un città vivibile, dove tutti si riconoscono fratelli, al di là della loro provenienza, degli orientamenti politici, della appartenenza religiosa, dove ciascuno mette in comune le proprie risorse, che diventano un bene per tutti, anche per coloro che non hanno voce. Potremo così rispondere ai bisogni concreti di singole storie, promuovendo la dignità di ciascuno. Come vescovo, mi auguro che dal male di questi mesi – l’inondazione, la pandemia, l’uccisione di don Roberto – sgorghi una rinnovata fonte di bene e di fraternità. Per ottenere questo, però, è necessario superare l’individualismo che ci tiene legati ai nostri schemi mentali, credendoli unici e infallibili.
Occorre saper rinunciare una volta per tutte all’indifferenza davanti a chi soffre, chiunque sia; evitare di promuovere, anche inconsapevolmente, la cultura dello scarto e avviare pazientemente nuovi processi perché la nostra amata Città diventi sempre più all’altezza dei tempi, sognando la cultura della piena accoglienza, della integrazione e della solidarietà. Ogni uomo è una storia sacra che esige rispetto e attenzione. Apriamo dunque spazi per una formazione alla cittadinanza, in cui coinvolgere l’università, le scuole, gli oratori, i diversi luoghi del pensiero, le nostre parrocchie, così ogni Istituzione possa mettere a disposizione di tutti la propria ricchezza. Ridiamo respiro e spazio alla partecipazione e alla corresponsabilità, impegnando la società civile, la comunità cristiana e le altre fedi presenti in Città, nel rispetto delle diverse competenze. Possa il Signore, amante della vita, “restituirci la vista” per poter scoprire cosa significhi essere membri di una sola famiglia umana e così ritrovarci fratelli.
dal sito http://www.diocesidicomo.it/il-vescovo/discorsi-e-messaggi-ufficiali/