Omelia di mons. Oscar Cantoni, Vescovo di Como
nella S. Messa di Natale 2017 – notte santa
"Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi è nato per voi un Salvatore".
Sono le parole dell'angelo ai pastori accorsi alla grotta di Betlemme che annunciano la nascita del Salvatore. Esse risuonano vive anche per noi, in questa notte santa, come in tutte le chiese del mondo. E noi, di nuovo, accogliamo con gioia, stupore e gratitudine la notizia di questo avvenimento che ha cambiato il mondo e ce ne rallegriamo.
La notizia di un Dio vicino all’uomo non cessa mai di meravigliarci, come pure ci commuove la certezza di un Dio che ci precede nella ricerca e si mette sulle nostre tracce, mentre ci consola l’immagine di un Dio che osa compromettersi con la storia degli uomini, fino a condividere la nostra storia, fino a immergersi nella nostra umanità, per rinnovarla e trasformarla dal di dentro. Nessun uomo lo avrebbe potuto immaginare e nemmeno pretendere!
Veramente i cieli si sono squarciati e così si è manifestata la bontà di Dio in un modo ancor più inatteso e stupefacente: non attraverso mezzi spettacolari di potenza, ma nella debolezza di un bambino, per indicarci che Dio non si impone mai: Egli si offre al nostro sguardo senza farci paura e aspetta che noi, nella piena libertà, lo accogliamo.
Questo Dio che si mette sulle tracce dell’uomo ed è il Salvatore, ha un nome, un volto, una storia: si chiama Gesù Cristo, l’Uomo-Dio, figlio della vergine Maria; è l’Emmanuele, il Dio con noi, venuto nel mondo per presentarci il volto del Dio trinitario: ecco il vero compito di Gesù sulla terra, ma insieme, ci ha rivelato anche quanto sia prezioso agli occhi e al cuore di Dio Padre ciascuno e ciascuna dei suoi figli: tutti amati da Dio come se fossimo unici, che si prende cura di tutti come se fossimo singoli.
E’ una notizia che ci rallegra e genera gioia nel cuore. La gioia è frutto della commozione davanti a un simile progetto, è figlia dello stupore di essere attesi e desiderati, la gioia emerge dalla luce divina che trabocca nel cuore di ogni uomo che crede.
E’ la certezza di essere sorpassati da un amore che ci precede, ci offre la sua vita divina, così che ogni persona, qualunque uomo o donna, creato a immagine stessa di Dio, diventa la sede in cui si rivela e risplende la sua gloria.
Se è così, allora la nostra vita prende un orientamento ben preciso: quella di rivelare la gioia di Dio, il padre che ci ama e ci riconosce suoi figli, promuovendo nel suo nome la fraternità tra gli uomini e le donne.
La fraternità, infatti, è la sola via della pace e la condizione per sconfiggere ogni povertà.
Finché non ci si considera fratelli, non ci si può riconoscere e accogliere quali figli di Dio; finché non cadono le nostre prevenzioni si generano solo barriere, si costruiscono muri, ci si differenzia e le divisioni moltiplicano i conflitti, crescono la paura, i pregiudizi e il sospetto nei confronti dell’altro perché straniero, perché profugo, perché fondamentalmente diverso da noi.
Ma da quando cominciamo a guardare con attenzione negli occhi gli altri, segnati dalle prove della vita, dalle malattie, dalla solitudine, dal vuoto interiore, allora ci scopriamo della stessa natura, tutti fragili e deboli, ma nello stesso tempo, portatori di una dignità immensa, perché figli e figlie dello stesso Padre, resi tali da Colui che, venendo come salvatore, ci ha salvati dalla tristezza, dalla noia, dalla divisione, dal groviglio dei nostri peccati, che ci abbruttiscono e ci invecchiano.
Allora scattano le leggi della fraternità, da cui proviene la solidarietà e la vicinanza. Allora è pace fatta: ogni povertà è sconfitta perché con l’aiuto fraterno, a ogni necessità c’è soluzione e rimedio. Allora vince la tenerezza, a imitazione del Dio bambino, che con la sua semplicità scioglie le nostre resistenze, annulla le nostre difese, promuove il bene che è in noi e ci aiuta a vedere il tanto bene che esiste anche negli altri, così diversi da noi, eppure bisognosi del nostro sguardo amorevole e delle nostra compassione.
Omelia di mons. Oscar Cantoni, Vescovo di Como
nella S. Messa di Natale 2017 – s. Messa del giorno
"E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità".
In queste espressioni è detto in sintesi il mistero del Natale che oggi noi contempliamo, così come il testo del Vangelo di Giovanni, da cui proviene il versetto citato (il Prologo, una specie di preludio musicale) è la sintesi di tutto il Vangelo.
Oggi accogliamo Cristo, missionario del Padre, partecipe della sua stessa vita divina, venuto ad abitare tra noi come vero uomo. Egli si è presentato come il Verbo fatto carne, senza rinunciare alla natura divina, per trovare accoglienza tra gli uomini, rivestito, però, della nostra stessa debolezza, attraverso la fragilità di un tenero bambino.
Da allora, Dio non è più lontano o distante dal nostro mondo. A noi la tremenda responsabilità di accoglierlo o di rifiutarlo.
L'evangelista Giovanni testimonia di aver contemplato, assieme agli altri discepoli, la gloria di Dio dal momento che ha condiviso da vicino la storia umana di Gesù, uomo Dio, in particolare ha ascoltato le sue parole e soprattutto ha visto i segni del suo agire tra gli uomini, quale garanzia dei doni di grazia ricevuti dal Padre. Nel Verbo fatto carne si è concentrata tutta la benevolenza divina e in lui ci è stata offerta in pienezza la rivelazione del Padre.
Gesù non si distingueva per qualche ornamento esteriore, non frequentava ambienti particolari, nemmeno risiedeva abitualmente nel tempio.
Ciò che lo contraddistingueva era la sua straordinaria umanità. Sapeva andare incontro con benevolenza a tutte le persone, soprattutto quelle ferite; il suo amore preferenziale era per i più deboli, per i poveri, per gli ultimi; era solito avvicinare con delicatezza i peccatori per liberarli dalla tristezza del peccato che opprime; sapeva chinarsi sulle miserie delle persone e provarne compassione, rivelando così la sua immensa tenerezza.
Tutti gli evangelisti concordano nell’affermare che Gesù spendeva lunghi tempi di preghiera per un colloquio amoroso con Dio Padre, del quale voleva essere immagine fedele presso gli uomini, a tal punto da poter affermare: “Chi ha visto me ha visto il Padre!”, quindi modello perfetto del Padre.
La sua orazione era finalizzata a cercare la volontà di Dio per avere la forza di attuarla.
Così ha preparato lungo tutta la sua esistenza terrena le condizioni per una dedizione totale di sé, culminata sulla croce, quale segno di estremo amore sacrificale per gli uomini. Essendo ora Egli vivo in mezzo a noi, perché risorto da morte e proclamato Signore, continua questo stesso stile e ci raggiunge attraverso i Sacramenti della Chiesa.
Venendo nella nostra storia e condividendo dal di dentro le nostre fatiche, il Verbo fatto carne insegna a tutti coloro che non lo rifiutano a diventare un riflesso della gloria del Padre attraverso un cammino di maturazione che conduce ad umanità piena, a imitazione della sua.
Se ora noi lo accogliamo come Vivente Signore, ci aiuta a fare di noi, del nostro corpo e del nostro spirito, il luogo in cui si rivela e risplende massimamente la gloria del Padre.
Continua a camminare con noi perché noi possiamo crescere in umanità, così che, proprio attraverso il nostro impegno di servizio, nella solidarietà con i fratelli, possa germinare attorno a noi, in un mondo rinnovato, l’amore, la verità, la giustizia e la pace, condizioni indispensabili per una società a misura d’uomo, secondo il disegno e la volontà di Dio.
dal sito: www.diocesidicomo.it