Cari fratelli e sorelle,
iniziamo con gioia e umiltà i giorni della Quaresima, tempo favorevole e propizio per la nostra conversione. Accogliamo l’invito di san Paolo: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio… Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza” (2 Cor 5,21.6,2). Abbiamo sempre bisogno di riconciliarci, perché nella storia degli uomini è all’opera non solo la grazia di Dio che illumina e risana, ma anche la forza del Divisore, che fa di tutto per strapparci dalla sorgente della felicità e seminare nel campo di Dio la zizzania della discordia.
La riconciliazione è anzitutto con Dio, ed è soprattutto dono Suo. Dono che Cristo ci ha conquistato portando i nostri peccati sul duro legno della croce, per liberare l’alba nuova della risurrezione. A Lui continuamente noi dobbiamo tornare, umili e pentiti come il pubblicano al tempio (Lc 18,13). Nella consapevolezza che nessuno di noi è senza peccato (Gv 8,7; 1 Gv 1,8), e che tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Dio (2 Cor 5,10), ma anche con la fiducia sconfinata che scaturisce dal “grande amore con il quale il Padre ci ha amati”, e per il quale noi realmente siamo e sempre saremo “suoi figli” (1 Gv 3,1).
La riconciliazione è anche fra di noi, perché il cuore dell’uomo è incline al male fin dalla giovinezza (Gen 8,21), e il tessuto ordinato delle relazioni, umane ed ecclesiali, viene lacerato da malvagità, orgoglio, e prevaricazione. Questo può accadere anche all’interno della famiglia, nelle relazioni di lavoro e di vicinato, dentro il tessuto stesso della comunità ecclesiale, che pure dovrebbe essere, nel mondo, faro e avamposto della fraternità nuova del Regno di Dio (“da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”, Gv 13,35). Prima di assiderci alla mensa della Pasqua e, anzi, per poterlo fare con gli “azzimi della sincerità e verità” (1 Cor 5,8), lasciamoci perciò guidare dall’invito del Signore a lasciare lì la nostra offerta, e tendere prima la mano verso il fratello “che ha qualcosa contro di te” (Mt 5,24), quale che sia il motivo che ha scavato il solco della divisione.
C’è un binario indispensabile – così ci indica nostra fede – lungo il quale il cammino della riconciliazione è chiamato ad avanzare senza esitazioni. La prima rotaia è costituita dalla giustizia, dall’amore per la verità. La Parola di Dio smaschera il male delle nostre azioni, inchioda la nostra responsabilità a quella Legge di Dio che abbiamo appreso fin da bambini. Giustizia e verità esigono il coraggio di chiamare col loro nome le nostre azioni, di non mendicare giustificazioni inconsistenti, ma di riconoscere la gravità del male commesso, la necessità del pentimento e della riparazione possibile.
Tuttavia un mondo soltanto “giusto”, non avrebbe ancora il “profumo del Vangelo” (papa Francesco, Evangelii gaudium 39). Ecco allora la seconda rotaia della riconciliazione: la misericordia. Essa nasce dalla memoria grata di quante e quante volte il perdono di Dio è intervenuto nella nostra vita, a risollevarci dalle cadute e rinfrancare il nostro cuore smarrito. La misura con cui Dio ci ha misurati diventa la stessa che noi siamo chiamati a usarci vicendevolmente (Lc 6,38). La porta di casa – ci ha ricordato recentemente papa Francesco – è sempre aperta per il ritorno del peccatore. La riconciliazione, allora, non è ingenuità, non è debolezza, non è sottostima del volto spaventoso e lacerante del male, ma è la santa ostinazione a cercare il fratello con lo sguardo stesso con cui Dio sempre lo guarda, e sempre lo cerca. Raccogliamo con grande serietà l’ammonimento dell’apostolo Giacomo: “il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia, invece, ha sempre la meglio nel giudizio” (Giac 2,13). Risuona in queste parole l’eco del celebre detto del Signore: “andate dunque e imparate cosa significhi: misericordia io voglio, e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13).
(dal sito: http://www.diocesidicomo.it/)
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA QUARESIMA 2014
Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr 2 Cor 8,9)
Cari fratelli e sorelle,
in occasione della Quaresima, vi offro alcune riflessioni, perché possano servire al cammino personale e comunitario di conversione. Prendo lo spunto dall’espressione di san Paolo: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). L’Apostolo si rivolge ai cristiani di Corinto per incoraggiarli ad essere generosi nell’aiutare i fedeli di Gerusalemme che si trovano nel bisogno. Che cosa dicono a noi, cristiani di oggi, queste parole di san Paolo? Che cosa dice oggi a noi l’invito alla povertà, a una vita povera in senso evangelico?
La grazia di Cristo
Anzitutto ci dicono qual è lo stile di Dio. Dio non si rivela con i mezzi della potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della povertà: «Da ricco che era, si è fatto povero per voi…». Cristo, il Figlio eterno di Dio, uguale in potenza e gloria con il Padre, si è fatto povero; è sceso in mezzo a noi, si è fatto vicino ad ognuno di noi; si è spogliato, “svuotato”, per rendersi in tutto simile a noi (cfr Fil 2,7; Eb 4,15). È un grande mistero l’incarnazione di Dio! Ma la ragione di tutto questo è l’amore divino, un amore che è grazia, generosità, desiderio di prossimità, e non esita a donarsi e sacrificarsi per le creature amate. La carità, l’amore è condividere in tutto la sorte dell’amato. L’amore rende simili, crea uguaglianza, abbatte i muri e le distanze. E Dio ha fatto questo con noi. Gesù, infatti, «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 22).
Lo scopo del farsi povero di Gesù non è la povertà in se stessa, ma – dice san Paolo – «...perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Non si tratta di un gioco di parole, di un’espressione ad effetto! E’ invece una sintesi della logica di Dio, la logica dell’amore, la logica dell’Incarnazione e della Croce. Dio non ha fatto cadere su di noi la salvezza dall’alto, come l’elemosina di chi dà parte del proprio superfluo con pietismo filantropico. Non è questo l’amore di Cristo! Quando Gesù scende nelle acque del Giordano e si fa battezzare da Giovanni il Battista, non lo fa perché ha bisogno di penitenza, di conversione; lo fa per mettersi in mezzo alla gente, bisognosa di perdono, in mezzo a noi peccatori, e caricarsi del peso dei nostri peccati. E’ questa la via che ha scelto per consolarci, salvarci, liberarci dalla nostra miseria. Ci colpisce che l’Apostolo dica che siamo stati liberati non per mezzo della ricchezza di Cristo, ma per mezzo della sua povertà. Eppure san Paolo conosce bene le «impenetrabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8), «erede di tutte le cose» (Eb 1,2).
Che cos’è allora questa povertà con cui Gesù ci libera e ci rende ricchi? È proprio il suo modo di amarci, il suo farsi prossimo a noi come il Buon Samaritano che si avvicina a quell’uomo lasciato mezzo morto sul ciglio della strada (cfr Lc 10,25ss). Ciò che ci dà vera libertà, vera salvezza e vera felicità è il suo amore di compassione, di tenerezza e di condivisione. La povertà di Cristo che ci arricchisce è il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di Dio. La povertà di Cristo è la più grande ricchezza: Gesù è ricco della sua sconfinata fiducia in Dio Padre, dell’affidarsi a Lui in ogni momento, cercando sempre e solo la sua volontà e la sua gloria. È ricco come lo è un bambino che si sente amato e ama i suoi genitori e non dubita un istante del loro amore e della loro tenerezza. La ricchezza di Gesù è il suo essere il Figlio, la sua relazione unica con il Padre è la prerogativa sovrana di questo Messia povero. Quando Gesù ci invita a prendere su di noi il suo “giogo soave”, ci invita ad arricchirci di questa sua “ricca povertà” e “povera ricchezza”, a condividere con Lui il suo Spirito filiale e fraterno, a diventare figli nel Figlio, fratelli nel Fratello Primogenito (cfr Rm 8,29).
È stato detto che la sola vera tristezza è non essere santi (L. Bloy); potremmo anche dire che vi è una sola vera miseria: non vivere da figli di Dio e da fratelli di Cristo.
La nostra testimonianza
Potremmo pensare che questa “via” della povertà sia stata quella di Gesù, mentre noi, che veniamo dopo di Lui, possiamo salvare il mondo con adeguati mezzi umani. Non è così. In ogni epoca e in ogni luogo, Dio continua a salvare gli uomini e il mondo mediante la povertà di Cristo, il quale si fa povero nei Sacramenti, nella Parola e nella sua Chiesa, che è un popolo di poveri. La ricchezza di Dio non può passare attraverso la nostra ricchezza, ma sempre e soltanto attraverso la nostra povertà, personale e comunitaria, animata dallo Spirito di Cristo.
Ad imitazione del nostro Maestro, noi cristiani siamo chiamati a guardare le miserie dei fratelli, a toccarle, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle. La miseria non coincide con la povertà; la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza. Possiamo distinguere tre tipi di miseria: la miseria materiale, la miseria morale e la miseria spirituale. La miseria materiale è quella che comunemente viene chiamata povertà e tocca quanti vivono in una condizione non degna della persona umana: privati dei diritti fondamentali e dei beni di prima necessità quali il cibo, l’acqua, le condizioni igieniche, il lavoro, la possibilità di sviluppo e di crescita culturale. Di fronte a questa miseria la Chiesa offre il suo servizio, la sua diakonia, per andare incontro ai bisogni e guarire queste piaghe che deturpano il volto dell’umanità. Nei poveri e negli ultimi noi vediamo il volto di Cristo; amando e aiutando i poveri amiamo e serviamo Cristo. Il nostro impegno si orienta anche a fare in modo che cessino nel mondo le violazioni della dignità umana, le discriminazioni e i soprusi, che, in tanti casi, sono all’origine della miseria. Quando il potere, il lusso e il denaro diventano idoli, si antepongono questi all’esigenza di una equa distribuzione delle ricchezze. Pertanto, è necessario che le coscienze si convertano alla giustizia, all’uguaglianza, alla sobrietà e alla condivisione.
Non meno preoccupante è la miseria morale, che consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato. Quante famiglie sono nell’angoscia perché qualcuno dei membri – spesso giovane – è soggiogato dall’alcol, dalla droga, dal gioco, dalla pornografia! Quante persone hanno smarrito il senso della vita, sono prive di prospettive sul futuro e hanno perso la speranza! E quante persone sono costrette a questa miseria da condizioni sociali ingiuste, dalla mancanza di lavoro che le priva della dignità che dà il portare il pane a casa, per la mancanza di uguaglianza rispetto ai diritti all’educazione e alla salute. In questi casi la miseria morale può ben chiamarsi suicidio incipiente. Questa forma di miseria, che è anche causa di rovina economica, si collega sempre alla miseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore. Se riteniamo di non aver bisogno di Dio, che in Cristo ci tende la mano, perché pensiamo di bastare a noi stessi, ci incamminiamo su una via di fallimento. Dio è l’unico che veramente salva e libera.
Il Vangelo è il vero antidoto contro la miseria spirituale: il cristiano è chiamato a portare in ogni ambiente l’annuncio liberante che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la vita eterna. Il Signore ci invita ad essere annunciatori gioiosi di questo messaggio di misericordia e di speranza! È bello sperimentare la gioia di diffondere questa buona notizia, di condividere il tesoro a noi affidato, per consolare i cuori affranti e dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti dal buio. Si tratta di seguire e imitare Gesù, che è andato verso i poveri e i peccatori come il pastore verso la pecora perduta, e ci è andato pieno d’amore. Uniti a Lui possiamo aprire con coraggio nuove strade di evangelizzazione e promozione umana.
Cari fratelli e sorelle, questo tempo di Quaresima trovi la Chiesa intera disposta e sollecita nel testimoniare a quanti vivono nella miseria materiale, morale e spirituale il messaggio evangelico, che si riassume nell’annuncio dell’amore del Padre misericordioso, pronto ad abbracciare in Cristo ogni persona. Potremo farlo nella misura in cui saremo conformati a Cristo, che si è fatto povero e ci ha arricchiti con la sua povertà. La Quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà. Non dimentichiamo che la vera povertà duole: non sarebbe valida una spogliazione senza questa dimensione penitenziale. Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole.
Lo Spirito Santo, grazie al quale «[siamo] come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto» (2 Cor 6,10), sostenga questi nostri propositi e rafforzi in noi l’attenzione e la responsabilità verso la miseria umana, per diventare misericordiosi e operatori di misericordia. Con questo auspicio, assicuro la mia preghiera affinché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra con frutto l’itinerario quaresimale, e vi chiedo di pregare per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca.
(dal sito www. vatican.va)
Immagine tratta da :http://www.centroaletti.com/
BENEDETTO XVI - UDIENZA GENERALE - 9 marzo 2011
Cari fratelli e sorelle,
Oggi, segnati dall’austero simbolo delle Ceneri, entriamo nel Tempo di Quaresima, iniziando un Itinerario Spirituale che ci prepara a celebrare degnamente i Misteri Pasquali. La Cenere Benedetta imposta sul nostro capo è un segno che ci ricorda la nostra condizione di creature, ci invita alla penitenza e ad intensificare l’impegno di Conversione per seguire sempre di più il Signore.
La Quaresima è un Cammino, è accompagnare Gesù che sale a Gerusalemme, luogo del compimento del suo Mistero di Passione, Morte e Risurrezione; ci ricorda che la Vita Cristiana è una "via" da percorrere, consistente non tanto in una Legge da osservare, ma nella persona stessa di Cristo, da incontrare, da accogliere, da seguire. Gesù, infatti, ci dice: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua!" (Lc 9,23). Ci dice, cioè, che per giungere con Lui alla luce e alla gioia della Risurrezione, alla vittoria della vita, dell’amore, del bene, anche noi dobbiamo prendere la Croce di ogni giorno, come ci esorta una bella pagina dell’"Imitazione di Cristo": "Prendi, dunque, la tua Croce e segui Gesù; così entrerai nella Vita Eterna! Ti ha preceduto lui stesso, portando la sua Croce (Gv 19,17) ed è morto per te, affinché anche tu portassi la tua Croce e desiderassi di essere anche tu Crocifisso. Infatti, se sarai morto con lui, con lui e come lui vivrai. Se gli sarai stato compagno nella sofferenza, gli sarai compagno anche nella Gloria!" ("Imitazione di Cristo", L. 2, c. 12, n. 2). Nella Santa Messa della "Prima Domenica di Quaresima" pregheremo: "O Dio, nostro Padre, con la Celebrazione di questa Quaresima, segno Sacramentale della nostra Conversione, concedi ai tuoi Fedeli di crescere nella conoscenza del Mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita!" ("Colletta"). È un’invocazione che rivolgiamo a Dio perché sappiamo che solo Lui può convertire il nostro cuore. Ed è soprattutto nella Liturgia, nella partecipazione ai Santi Misteri, che noi siamo condotti a percorrere questo Cammino con il Signore; è un metterci alla scuola di Gesù, ripercorrere gli eventi che ci hanno portato la salvezza, ma non come una semplice Commemorazione, un ricordo di fatti passati. Nelle azioni Liturgiche, Cristo si rende presente attraverso l’opera dello Spirito Santo, quegli avvenimenti salvifici diventano attuali. C’è una "parola-chiave" che ricorre spesso nella Liturgia per indicare questo: la parola "oggi"; ed essa va intesa in senso originario e concreto, non metaforico. "Oggi" Dio rivela la sua Legge e a noi è dato di scegliere "oggi" tra il bene e il male, tra la vita e la morte (cfr. Dt 30,19); "oggi", "il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo!" (Mc 1,15); "oggi" il Cristo è morto sul Calvario ed è risuscitato dai morti; è salito al Cielo e siede alla destra del Padre; "oggi" ci è dato lo Spirito Santo; "oggi" è tempo favorevole. Partecipare alla Liturgia significa allora immergere la propria vita nel Mistero di Cristo, nella sua permanente presenza, percorrere un Cammino in cui entriamo nella sua Morte e Risurrezione per avere la vita.
Nelle Domeniche di Quaresima, in modo del tutto particolare in quest’Anno Liturgico del "Ciclo A", siamo introdotti a vivere un Itinerario Battesimale, quasi a ripercorrere il Cammino dei Catecumeni, di coloro che si preparano a ricevere il Battesimo, per ravvivare in noi questo dono e per far in modo che la nostra vita recuperi le esigenze e gli impegni di questo Sacramento, che è alla base della nostra Vita Cristiana. Nel "Messaggio" che ho inviato per questa Quaresima, ho voluto richiamare il nesso particolare che lega il Tempo Quaresimale al Battesimo. Da sempre la Chiesa associa la Veglia Pasquale alla Celebrazione del Battesimo, passo per passo: in esso si realizza quel grande Mistero per cui l’uomo, morto al peccato, è reso partecipe della vita nuova in Cristo Risorto e riceve lo Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti (cfr. Rm 8,11). Le Letture che ascolteremo nelle prossime Domeniche e alle quali vi invito a prestare speciale attenzione, sono riprese proprio dalla Tradizione antica, che accompagnava il Catecumeno nella scoperta del Battesimo: sono il grande annuncio di ciò che Dio opera in questo Sacramento, una stupenda Catechesi Battesimale rivolta a ciascuno di noi. La "Prima Domenica", chiamata "Domenica della Tentazione", perché presenta le Tentazioni di Gesù nel Deserto, ci invita a rinnovare la nostra decisione definitiva per Dio e ad affrontare con coraggio la lotta che ci attende per rimanergli fedeli. Sempre c'è di nuovo questa necessità di decisione, di resistere al male, di seguire Gesù. In questa Domenica la Chiesa, dopo aver udito la testimonianza dei Padrini e dei Catechisti, celebra l’elezione di coloro che sono ammessi ai Sacramenti Pasquali. La "Seconda Domenica" è detta di Abramo e della Trasfigurazione. Il Battesimo è il Sacramento della Fede e della figliolanza Divina; come Abramo, Padre dei Credenti, anche noi siamo invitati a partire, ad uscire dalla nostra terra, a lasciare le sicurezze che ci siamo costruite, per riporre la nostra fiducia in Dio; la meta si intravede nella Trasfigurazione di Cristo, il Figlio amato, nel quale anche noi diventiamo "figli di Dio". Nelle Domeniche successive viene presentato il Battesimo nelle immagini dell’acqua, della luce e della vita. La "Terza Domenica" ci fa incontrare la "Samaritana" (cfr. Gv 4,5-42). Come Israele nell’Esodo, anche noi nel Battesimo abbiamo ricevuto l’acqua che salva; Gesù, come dice alla "Samaritana", ha un’acqua di vita, che estingue ogni sete; e quest’acqua è il suo stesso Spirito. La Chiesa in questa Domenica celebra il primo scrutinio dei Catecumeni e durante la settimana consegna loro il Simbolo: la Professione della Fede, il Credo. La "Quarta Domenica" ci fa riflettere sull’esperienza del "Cieco Nato" (cfr. Gv 9,1-41). Nel Battesimo veniamo liberati dalle tenebre del male e riceviamo la luce di Cristo per vivere da figli della luce. Anche noi dobbiamo imparare a vedere la presenza di Dio nel Volto di Cristo e così la luce. Nel Cammino dei Catecumeni si celebra il secondo scrutinio. Infine, la "Quinta Domenica" ci presenta la Risurrezione di Lazzaro (cfr. Gv 11,1-45). Nel Battesimo noi siamo passati dalla morte alla vita e siamo resi capaci di piacere a Dio, di far morire l’uomo vecchio per vivere dello Spirito del Risorto. Per i Catecumeni, si celebra il terzo scrutinio e durate la settimana viene consegnata loro l’Orazione del Signore: il "Padre Nostro".
Questo Itinerario della Quaresima che siamo invitati a percorre nella Quaresima è caratterizzato, nella Tradizione della Chiesa, da alcune pratiche: il Digiuno, l’Elemosina e la Preghiera. Il Digiuno significa l’astinenza dal cibo, ma comprende altre forme di privazione per una vita più sobria. Tutto questo però non è ancora la realtà piena del Digiuno: è il segno esterno di una realtà interiore, del nostro impegno, con l’aiuto di Dio, di astenerci dal male e di vivere del Vangelo. Non digiuna veramente chi non sa nutrirsi della Parola di Dio.
Il Digiuno, nella Tradizione Cristiana, è legato poi strettamente all’Elemosina. San Leone Magno insegnava in uno dei suoi "Discorsi" sulla Quaresima: "Quanto ciascun Cristiano è tenuto a fare in ogni tempo, deve ora praticarlo con maggiore sollecitudine e devozione, perché si adempia la Norma Apostolica del Digiuno Quaresimale consistente nell’astinenza non solo dai cibi, ma anche e soprattutto dai peccati. A questi doverosi e Santi Digiuni, poi, nessuna opera si può associare più utilmente dell’Elemosina, la quale sotto il nome unico di ‘Misericordia’ abbraccia molte opere buone. Immenso è il campo delle opere di Misericordia. Non solo i ricchi e i facoltosi possono beneficare gli altri con l’Elemosina, ma anche quelli di condizione modesta e povera. Così, disuguali nei beni di fortuna, tutti possono essere pari nei sentimenti di pietà dell’Anima!" ("Discorso 6 sulla Quaresima", 2: PL 54, 286). San Gregorio Magno ricordava, nella sua "Regola Pastorale", che il Digiuno è reso Santo dalle virtù che l’accompagnano, soprattutto dalla carità, da ogni gesto di generosità, che dona ai poveri e ai bisognosi il frutto di una nostra privazione (cfr. "Regola Pastorale", 19,10-11).
La Quaresima, inoltre, è un Tempo privilegiato per la Preghiera. Sant’Agostino dice che il Digiuno e l’Elemosina sono "le due ali della Preghiera", che le permettono di prendere più facilmente il suo slancio e di giungere sino a Dio. Egli afferma: "In tal modo la nostra Preghiera, fatta in umiltà e carità, nel Digiuno e nell’Elemosina, nella temperanza e nel perdono delle offese, dando cose buone e non restituendo quelle cattive, allontanandosi dal male e facendo il bene, cerca la pace e la consegue. Con le ali di queste virtù la nostra Preghiera vola sicura e più facilmente viene portata fino al Cielo, dove Cristo nostra pace ci ha preceduto!" ("Sermone 206, 3 sulla Quaresima": PL 38,1042). La Chiesa sa che, per la nostra debolezza, è faticoso fare silenzio per mettersi davanti a Dio, e prendere consapevolezza della nostra condizione di creature che dipendono da Lui e di peccatori bisognosi del suo amore; per questo, in Quaresima, invita ad una Preghiera più fedele ed intensa e ad una prolungata meditazione sulla Parola di Dio. San Giovanni Crisostomo esorta: "Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà con la pratica della Preghiera! Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le sue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle pietre preziose colloca la Fede e la soprannaturale magnanimità, ponendo sopra ogni cosa, in alto sul fastigio, la Preghiera a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida Reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua Anima in Tempio della sua presenza!" ("Omelia 6 sulla Preghiera": PG 64,466).
Cari amici, in questo Cammino Quaresimale siamo attenti a cogliere l’invito di Cristo a seguirlo in modo più deciso e coerente, rinnovando la Grazia e gli impegni del nostro Battesimo, per abbandonare l’uomo vecchio che è in noi e rivestirci di Cristo, per giungere rinnovati alla Pasqua e poter dire, con San Paolo: "Non vivo più io, ma Cristo vive in me!" (Gal 2,20).Buon Cammino Quaresimale