Santuario della SS. Trinità Misericordia Maccio di Villa Guardia (CO)
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Ad un anno dal Santuario

Maccio, 26 novembre 2011 - Appunti per l’omelia di don Italo Mazzoni

 

Con le parole di San Paolo, ascoltate questa sera, ripeto alla vostra comunità: Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza (1 Cor 1,4). Non sono innanzitutto parole. Sono Parola, Parola di Dio, cioè rivelazione del mistero più grande della nostra esistenza: Dio si dona a noi.
Il Vangelo ascoltato descrive con una splendida immagine questo muoversi di Dio. Nelle varie ore della vita il Figlio dell’Uomo viene. “Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino” (Mc 13,35). Se noi aspettiamo un amico, aspettiamo chi ci ama: non ci prende il timore della sua venuta. Anzi, il nostro cuore desidera che avvenga. Il Vangelo ascoltato riguarda il quotidiano della nostra vita, non solo l’ultimo giorno.


Come non metterci in ginocchio ad attendere e adorare, di fronte a questo regalo? Dio, che ci ha chiamati all’esistenza come creature umane, ci chiama al contatto con lui, alla relazione con lui, alla condivisione della sua stessa vita, alla sua altezza.
Trovate voi stessi le parole per descrivere tutto ciò, per dirlo da dentro la vostra fede. Io dico: ci chiama all’incontro, si innamora di noi, mette in gioco la sua stessa vita divina per noi, è perso d’amore per noi, ad uno ad uno. Chiama proprio noi, piccole e povere creature, a condividere la sua vita divina ed eterna, vita nell’amore e nella libertà. San Paolo ci conforta: “Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Cor 1,8).

 

Un anno fa, il 27 novembre il Vescovo Diego, mentre in Perù iniziava la nuova missione diocesana, apriva questa chiesa parrocchiale come Santuario intitolato col nome stesso di Dio: Santissima Trinità Misericordia.
Era il primo riconoscimento pubblico di fronte a vicende che da anni qui avvenivano: afflusso di pellegrini per la preghiera, varie novene di preghiera, movimento di popolo. Ma prima ancora, prima di questo fuoco acceso, ci sono le scintille di una lunga serie di rivelazioni private ad un vostro parrocchiano. Egli, suo malgrado, si è trovato al centro di tante attenzioni, anche della stampa; ma soprattutto si è trovato dentro una mirabile esperienza spirituale fatta di voci e di visioni riguardanti il mistero della Santissima Trinità. E quelle voci che gli parlano sembrano essere quella di Cristo e della Vergine Maria.

A Cristo, volto del Figlio che è Parola che si dona, rivolgiamo la nostra attenzione, chiamati a ciò dalla campana dell’Avvento che squilla con i suoi primi rintocchi in questa notte, per risvegliarci alla luce della fede.
Gesù Cristo è venuto a noi, egli viene, e verrà nell’ultimo giorno a riportare tutte le creature al Padre.
Noi viviamo il presente, cioè il tempo del Cristo che viene; noi attendiamo la fine delle cose quando egli tornerà; e infine meditiamo con cura e con dedizione il mistero della sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione, attraverso il quale egli si è donato tutto a noi col Padre e con lo Spirito Santo: fa’, o Signore, che noi ci doniamo tutti a te, nell’Eucaristia che stiamo celebrando. All’amore si risponde con l’amore!

Il Vescovo, con l’aiuto dei suoi collaboratori e di un’apposita commissione, ha espresso un giudizio positivo, di attendibilità dei fatti di Maccio; ha letto con meraviglia le tante pagine dei quaderni che egli stesso ha chiesto di scrivere: contengono la descrizione meticolosa delle esperienze spirituali di Maccio. Quanto avviene qui non solo non è contrario alla dottrina cattolica, ma addirittura è una lente di ingrandimento per cogliere contenuti e prospettive già presenti nel Vangelo, ma a volte trascurati o non approfonditi a sufficienza.

Di che cosa si tratta? Soprattutto di quanto avviene durante la celebrazione della Santa Messa, di ogni Santa Messa celebrata su tutti gli altari della terra. Che cosa c’è nella Messa che i nostri occhi non vedono e che pure avviene davanti a noi e in noi? Si compiono le parole di Cristo: “Fate questo in memoria di me”. Una memoria concreta fatta della sua presenza in persona, una memoria coinvolgente che ci chiede la vita in dono, una memoria trinitaria che abbassa la Trinità fino a noi per abbracciarci ad uno ad uno, vincere la nostra solitudine, superare ogni chiusura e salvarci. Dal peccato ci salva, dal maligno ci salva, dalla pietrificazione del cuore ci salva, dalla morte eterna ci salva. E ci restituisce la nostra originalità, ben visibile nell’Immacolata: essere figli! Sempre di nuovo figli. Ancora oggi figli. Nonostante le colpe, figli. Gioiosamente figli!

Tutto ciò si chiama Misericordia infinita. Non un’opera benevola di Dio, non una buona azione verso l’uomo, non un atto di perdono: la Misericordia è il suo venire a cercarci ogni giorno per donarci la sua stessa vita.
La Misericordia è Dio stesso Padre Figlio e Spirito Santo, nell’ostinato desiderio di attirarci a se, e nella delicatezza di custodire la nostra libertà.
È infinita perché è Dio. Infinita è più che abbondante, o generosa, o traboccante: infinita vuol dire divina.  Per questo motivo ci sono segni spirituali che ci meravigliano, ma che restano sobri, per non piegare la nostra libertà. E non concedono curiosità.

Gesù parla ancora. Anche oggi. In tanti modi e normalmente attraverso la lettura spirituale del Vangelo. Davvero ci meraviglia che Gesù in persona parli a uno di noi? Non ci sono migliaia di testimonianze di tutto ciò nella storia della Spiritualità cristiana? E non dovrebbe essere così tante volte nella preghiera personale? Non è così nelle vocazioni?
Quella Voce sentita qui ha i toni di Cristo, invita alle scelte di Cristo, ci immerge nella conoscenza luminosa del Padre che dona la pace, risuona calda del Fuoco bruciante dello Spirito, convoca la Chiesa a vivere dell’Eucaristia, sostiene le famiglie nell’essere specchio dell’amore trinitario e richiama noi sacerdoti e i vescovi a cercare la pecora smarrita, a radunare il gregge di Dio per la preghiera, a celebrare l’Eucaristia senza distrazioni, senza fretta, consapevoli della presenza viva di Cristo.
La Voce si è rattristata molte volte del fatto che noi figli sacerdoti mostriamo troppo poco l’Eucaristia al popolo o lo facciamo con molta fretta, senza convinzione, con poco amore, perché nel nostro cuore siamo presi da troppe faccende e celebriamo il sacrificio di Cristo trascurando la sua passione, dono della Misericordia.
Quella voce ha espresso il desiderio che nella Messa si dicano, prima della comunione, le seguenti parole: “Ecco Gesù, l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”.

È già impegnativo ascoltare, ma lo diventa ancor di più sentirsi chiamati per dire agli altri quanto la voce udita come locuzione interiore ha in vari modi confidato: “Nessuno si prostra più davanti a me! Non bisogna farlo per timore, ma alla maniera di chi si getta tra le braccia dell’innamorato! E chi è più innamorato di voi, se non io, Misericordia che provengo dal cuore della Misericordia?”
Anche Maria, la Vergine Santissima, è coinvolta attivamente in questo Santuario, come lo fu a Gallivaggio, in Valchiavenna. Il suo rivelarsi ci riporta sempre a Dio. Ci pare di sentirla dire teneramente: “Figlio mio, dillo a tutti. Io sono la Madre della Misericordia. Aprite il cuore a quello che il Signore va operando qui. Quale è il miracolo più grande se non quello della Misericordia che trasforma un cuore morto alla vita?”

La Chiesa di Como, con il suo Vescovo Diego, si è interrogata su tutte le rivelazioni di Maccio. Ha concluso qualche mese fa la prima fase dell’iter di verifica. Il Vescovo in persona, con due suoi collaboratori, il 9 settembre scorso ha consegnato alla Congregazione per la Dottrina della fede il dossier su Maccio, esprimendo un primo positivo giudizio. Ora è la Chiesa di Roma che si interroga, la Chiesa che presiede alla comunione  universale e vigila, attraverso il Magistero del Papa, sulla verità della dottrina e delle azioni cristiane.
Saremo aiutati dal Papa soprattutto nella comprensione e nell’approfondimento dei messaggi in riferimento alla rivelazione cristiana. Ci vorrà tempo. L’attesa purifica i desideri, ci libera dalla fretta, ma non deve distrarci. L’Avvento ci richiama alla vigilanza. Anche su quanto avviene in questo santuario dobbiamo insieme vigilare, non a modo di controllori, ma per non perdere l’appuntamento con il Signore. Potrebbe risuonare pesante per noi l’annuncio del Prologo del Vangelo di Giovanni: “Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto”. (Gv 1,11).

Alcuni in Parrocchia esprimono una legittima fatica per tutto ciò che qui sta avvenendo. Avvertono il Santuario come una sottrazione alla vita della Parrocchia e dicono: c’è meno tempo per noi, meno attenzione dei preti, meno tranquillità. Questa percezione è importante. Sarebbe preoccupante se non ci fosse. È davvero un disagio cambiare e uscire dalle abitudini. Conosciamo questa fatica, perché tutti l’abbiamo vissuta immensa uscendo dal grembo materno, uscendo dalla famiglia per andare a scuola, lasciando la giovinezza un po’ spensierata per affrontare le responsabilità della vita adulta.
È anche esperienza della comunità che cresce. Il Santuario che coincide con la Chiesa Parrocchiale indica una volontà di Dio che la Chiesa ha recentemente scoperto: “Il Maestro è qui e cammina con noi.” Senza ricerca di consonanze volute con Maccio, questo è il titolo e il contenuto principale del piano pastorale della nostra Diocesi. Ogni chiesa, in mezzo alle case, diventi luogo in cui trovare Dio. Ogni chiesa di ogni parrocchia, anche senza il titolo di santuario, è Santuario della presenza della Trinità.

Desidero incoraggiare la comunità di Maccio a non dividersi su questo dono, a fidarsi del Vescovo, a stare in trepida attesa, ad apprezzare la fatica del capire, a vivere con serenità questi tempi, a pregare unita.
Nulla vi è portato via, di nulla siete privati. Anche tutto ciò che già prima avevate era stato un dono. Anche il Santuario è un dono. Dal cielo don Enrico Verga sorride e benedice.
Siate accoglienti verso i pellegrini: cercano misericordia.
Siate voi stessi pellegrini: cercate misericordia. Vi sarà data in misura abbondante e traboccante.
Ecco, il Signore viene: è l’Avvento di Gesù. L’Avvento è Gesù!

XXXIV Settimana del Tempo «per Annum» – Anno Dispari
Maccio di Villa Guardia (Co), Santuario della Santissima Trinità Misericordia
giovedì 24 novembre 20111
I giorno del Triduo in preparazione alla Festa del Santuario
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«Santissima Trinità Misericordia infinita, io confido e spero in Te»

 

1. Ormai un anno fa il Santuario della Santissima Trinità Misericordia apriva le porte perché ogni uomo, venendo qui, potesse sentirsi abbracciato dalla Misericordia di Dio e imparasse a riporre unicamente in lui la sua speranza.
Quella sera, per una singolare coincidenza, al nome della Vergine Maria Assunta in cielo – a cui questa chiesa è dedicata – si affiancava così il nome della Santissima Trinità, ossia: Misericordia. In tal modo, proprio in questo provvidenziale accostamento dei due nomi, ognuno poteva intuire il disegno che da molto tempo Dio aveva preparato per questa comunità e per la nostra Chiesa di Como.
Maria, che da sempre ha accompagnato il cammino dell’umanità, e che qui abbiamo sempre venerato come Assunta in cielo, ci riporta continuamente al suo Figlio, perché in lui – volto della Santissima Trinità – possiamo contemplare e avere accesso al cuore stesso di Dio, Trinità d’amore. «Chi ha visto me – aveva detto Gesù a Filippo – ha visto il Padre» (Gv 14,9); e a un altro discepolo, Giuda Taddeo: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Maria, che fin da Gallivaggio aveva preparato la nostra Diocesi ad accogliere e a proclamare la Misericordia, ci porta quindi anche oggi al suo Figlio perché solo in lui si dischiude per noi il cuore della Trinità.
Per questo motivo, nella preghiera che chiude la Supplica alla Santissima Trinità Misericordia, chiediamo ogni giorno a Maria di accompagnarci all’incontro con la Trinità: «Madre della Misericordia […], guidaci all’incontro col Verbo che si dona, col Padre che ci ama e nel Verbo a noi discende, all’incontro con lo Spirito che da Essi a noi è donato e per Essi in noi prega»2.

2. A introdurci nel mistero di questa liturgia è una pagina biblica tratta dal libro del profeta Daniele. Fin dalla giovinezza Daniele era stato deportato, insieme ad altri ebrei, tutti timorati di Dio, nella città pagana di Babilonia e qui – lontano dalla fede dei padri – era stato educato per poter entrare, in qualità di saggio, a servizio del re. E poiché egli eccelleva, in questioni di sapienza e di dottrina, su tutti gli altri, il re aveva deciso di metterlo a capo di tutti i suoi saggi. Un timorato di Dio riceveva così onore alla corte di un re pagano.
Nella sua integrità, Daniele non si era però mai dimenticato del suo Dio e, anche di fronte alla minaccia di morte intimatagli da chi voleva costringerlo ad adorare gli idoli pagani o una statua d’oro, egli rimase fedele al suo credo.
La parte centrale del libro – quella che abbiamo letto questa sera – ci presenta Daniele nella fossa dei leoni, vittima di una congiura meschinamente ordita contro di lui. I suoi detrattori lo vorrebbero morto. Ma, con meraviglia, Daniele deve constatare che in quel momento estremo Dio interviene, chiude miracolosamente le fauci ai leoni e la sua vita viene così risparmiata. In tal modo anche il re pagano, che aveva condannato Daniele, è costretto a confessare che il Dio di Daniele «è il Dio vivente, che rimane in eterno» (Dn 6,27); «egli salva e libera, fa prodigi e miracoli in cielo e in terra» (Dn 6,28).
La chiave di lettura di tutto il racconto è offerta dal profeta quasi di sfuggita, quando dice che Daniele aveva ottenuto salvezza perché «aveva confidato nel suo Dio» (Dn 6,24). Così ci ricorda che anche noi, se confidiamo in Dio, non dobbiamo temere nulla. Non c’è miseria o povertà e nemmeno peccato che la Misericordia non possa vincere. Perché ciò che noi chiamiamo Misericordia, non è semplicemente pietà, ma è l’amore di Dio che continuamente scende verso di noi per attirarci a sé.

3. Anche la Supplica alla Santissima Trinità Misericordia, che in questo Santuario trova il suo luogo proprio, ci insegna – come già Daniele – a confidare unicamente in Dio. Con una differenza, però. Daniele, che era vissuto prima di Cristo, non aveva ancora conosciuto il volto di Dio. Ora, invece, attraverso il mistero della sua incarnazione, passione, morte e risurrezione, Dio si è raccontato e ha manifestato la serietà del suo amore per l’uomo come nessuno avrebbe immaginato.
Rispetto ai tempi del profeta, potremmo anche dire, Dio si è fatto a noi ancora più vicino perché nel suo Figlio, non solo ha parlato, ma si è fatto nostro fratello, uno di noi. In Gesù Cristo, Dio ha percorso anche l’ultimo tratto di quella interminabile strada verso il basso che lo portava verso di noi. Dio misericordia si è fatto noi creatura per attirarci a sé dal di dentro, amandoci di un amore che solo l’onnipotenza dell’amore assoluto poteva donare.

Se Daniele poteva confidare in Dio, era solo in virtù della promessa di salvezza fatta ai padri. Noi invece – che questa salvezza l’abbiamo toccata con mano nella croce del Figlio e la gustiamo ogni giorno nel dono immenso dell’eucaristia – possiamo confidare in Dio con ben altra certezza: che egli, anche nelle prove più dure, è con noi e non ci abbandona. L’amore assoluto ama sempre, anche quando è rifiutato. Ma esso mai si stanca di attirare a sé ciò che per amore è uscito dalla sua stessa essenza. Si dona nella carità alla sua creatura e nella misericordia la attira sempre a sé facendola nuova.
Per questo non diciamo semplicemente: «Signore, Io confido in te»; ma: «Per il dono della tua incarnazione, passione, morte e risurrezione, Santissima Trinità, Misericordia infinita, io confido e spero in Te»3. Con questo siamo consapevoli che né il Padre, né lo Spirito Santo si sono incarnati o sono morti; ma solo il Figlio. Tuttavia – poiché Dio è uno – la salvezza è opera di tutta la Trinità.

4. Ma come possiamo, noi che viviamo nel tempo, incontrare Dio misericordia? Ora, a noi che siamo nel tempo, Dio ha lasciato nell’eucaristia il segno efficace della sua presenza. Nel dono dell’eucaristia, egli continua a farsi piccolo per noi perché noi – nella nostra piccolezza – possiamo contenere l’immensità del suo amore.
È nell’eucaristia che la Chiesa, nutrendosi del corpo e del sangue di Cristo, dimostra di non confidare in se stessa, ma unicamente nel dono di Dio. Solo se essa accetta di non avere una consistenza propria e si lascia generare continuamente dalle ferite di Cristo, potrà convincere il mondo non in quanto a sé, ma in quanto a Dio. Nell’eucaristia, infatti, Dio le dona tutto di sé per il bene del mondo. Essa deve però imparare a spogliarsi dei mezzi del mondo per confidare – come Daniele – unicamente in Dio.

5. È ciò che hanno fatto i martiri di ogni tempo, come i Santi Andrea Dung­Lac e compagni martiri che, soprattutto tra il XVIII e il XIX secolo fecondarono con il loro sangue l’evangelizzazione dell’Estremo Oriente. Il martirio fu per loro la forma suprema con la quale testimoniarono di voler confidare, non in se stessi, ma unicamente in Dio.
Attraverso il loro sacrificio, essi ci ricordano che a ciascuno di noi è dato di compartecipare al sacrificio di Cristo anzitutto con il dono di sé. La vera celebrazione dell’eucaristia si ha quando l’uomo, con il corpo e il sangue di Cristo, offre se stesso per il bene dei fratelli. Anche in questo gesto estremo di martirio rifulge una traccia luminosa dell’amore di Dio che, nella sua Misericordia, associa l’uomo, sua creatura, al sacrificio del Creatore.

6. Chiesa di Como, lasciati meravigliare dall’opera di Dio e non temere! Confida unicamente in lui; apri il cuore alla Misericordia e gioisci del grande dono che Dio ti ha fatto.
Maria Santissima, Madre della Misericordia, continua a vegliare su di noi e sulle nostre comunità.


1 Letture del giorno: Dn 6,12-28; Dn 3,68-74 (sostituisce il salmo); Lc 21,20-28.
2 Preghiera all’Immacolata.
3 Supplica alla Santissima Trinità Misericordia.

II domenica di Pasqua (anno A) o della Divina Misericordia
Maccio di Villa Guardia (Co), Santuario della Santissima Trinità Misericordia,
domenica 1 maggio 2011[1]

 

La misericordia di Dio (Trinità) nella vicenda di Tommaso


1. La figura di Tommaso, che i vangeli chiamano anche «Didimo», ossia «Gemello» (cf Gv 11,16; 20,24; 21,2), è associata, nella memoria comune, al dubbio del discepolo: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,25). Tommaso rappresenta, in qualche modo, tutti i dubbi e i timori della fede; in lui si assommano tutte le paure del discepolo che vorrebbe credere nel Risorto e tuttavia stenta a consegnarsi totalmente.

 

2. L’evangelista Giovanni ci offre, però, anche un altro sguardo su Tommaso quando riferisce la decisione di Gesù di voler andare a Betania, in Giudea, per risuscitare l’amico Lazzaro (cf Gv 11,11). Tale decisione suscita l’immediata ostilità dei discepoli, i quali si ricordano che poco prima i Giudei avevano cercato di uccidere Gesù (cf Gv 8,59): «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?» (Gv 11,8).

È in questo contesto che Tommaso dice agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui» (Gv 11,16). La decisione di Tommaso di seguire il Signore è certamente esemplare e offre anche a noi un insegnamento prezioso: chi si pone alla sequela di Cristo deve essergli fedele fino a identificare il proprio destino con quello del Maestro e a desiderare di condividere con lui anche la prova più alta, quella della morte[2]. Ciò che importa – sembra dirci Tommaso – è non separarsi mai da Gesù: dove va lui, lì deve essere anche il discepolo. La vita cristiana, in altre parole, attinge la sua forza dall’intima unione con il Signore, ossia dal dimorare nel suo cuore, come egli dimora nel nostro. Per questo Tommaso dice: «Andiamo anche noi a morire con lui» (Gv 11,16).

Tommaso comparirà un’ultima volta, prima dei racconti della risurrezione, nel contesto dell’ultima cena. Qui Gesù annuncia ai suoi discepoli che li precederà nella morte; egli andrà innanzi a loro e preparerà loro un posto nella casa del Padre suo. E Gesù ricorderà a Tommaso, ma attraverso di lui anche a noi, che egli solo è «la via, la verità, la vita» (Gv 14,6). Egli è la via perché è la verità. E per questo può condurci alla vita. Perché solo nella verità l’uomo può raggiungere la vita, la vita vera.

 

3. Tommaso è però anche colui che nel giorno della Pasqua non crede che Gesù si sia mostrato ai suoi. Giovanni tace sul motivo dell’incredulità, anche se descrive la chiesa degli inizi come una chiesa timorosa: le porte del luogo dove si trovavano i discepoli – identificato dalla tradizione con il Cenacolo – erano chiuse per paura dei Giudei (cf Gv 20,19). Si tratta probabilmente di una paura che nasce, come spesso, dal confronto con il mondo, ma che trova certamente complicità nel cuore dell’uomo. Una cosa appare però evidente. Tommaso – e in ciò non sbaglia – sa che i segni qualificanti per riconoscere la presenza del Signore sono ormai le sue mani e il suo costato: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,25). Dalle mani e dal costato si capisce quanto egli ci ha amati (cf Gv 1,13).

Prima ancora che sia Tommaso a pretendere di tendere la mano per metterla nel fianco del Risorto, è Gesù stesso che compare una prima volta ai discepoli, e augura loro la pace (cf Gv 20,19) mostrando loro le mani e il costato (cf Gv 20,20). È lui che, prendendo l’iniziativa, mostra alla chiesa quel fianco da cui, sulla croce, erano scaturiti sangue ed acqua (cf Gv 19,34): il sangue, segno dell’eucaristia e l’acqua, segno del battesimo ma anche – nel vangelo di Giovanni – dello Spirito Santo (cf Gv 3,5; 4,14; 7,37-39).

Gesù mostra ai suoi discepoli quel cuore trafitto che sulla croce si era aperto per permettere ad ognuno di entrare; ma, anche, per permettere che la stessa essenza di Dio – che è Misericordia – potesse uscire e raggiungere tutti gli uomini. Giovanni non si stanca di ricordare, ai discepoli della prima ora, che la Chiesa non è opera umana, ma scaturisce dal costato di Cristo morente sulla croce[3]. Come dal costato di Adamo scaturì Eva – dicevano i Padri –, così dal costato di Cristo è scaturita la Chiesa[4].

Prima ancora che l’uomo chieda di poter mettere il dito nel costato del Risorto, è Cristo stesso che apre quel cuore per comunicare a noi la sua vita.

 

4. L’errore che commette Tommaso è quello di voler passare dal piano del sensibile al piano del soprannaturale con le sue sole forze: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,25). Ma se l’uomo non apre il suo cuore, anche il vedere e il toccare non bastano alla fede. Tommaso rappresenta così, in qualche modo, la mentalità tipica di ogni tempo: quella che pretende di verificare, toccandola, la realtà soprannaturale.

Ora domandiamoci: che cosa fa Gesù di fronte alla fatica di Tommaso? Presentandosi otto giorni dopo, egli si china su di lui, si abbassa – per così dire – al suo livello umano di comprensione e gli dice: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel tuo costato; e non essere più incredulo ma credente!» (Gv 20,27). Gesù conosce, nel suo amore, che cosa il discepolo voleva fare[5] e, mentre soddisfa la sua esigenza, lo invita ad una comprensione più profonda: «non essere più incredulo, ma credente!» (Gv 20,27). Ed è a questo punto che Tommaso emette la sua professione di fede: «mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28), nella quale il pronome possessivo «mio» testimonia una profonda relazione con il Signore; proprio come quando Tommaso aveva espresso il suo desiderio di seguirlo fino alla morte (cf Gv 11,16).

Tommaso riconosce però anche – nella sua professione di fede – che in Gesù, Dio stesso, che è Trinità, si è reso vicino. Per questo dice: «mio Signore e mio Dio». Si realizzano così le parole che Gesù aveva detto un giorno ai discepoli: «in quel giorno voi conoscerete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi» (Gv 14,20).

 

5. La misericordia di Dio – che è il messaggio centrale di questo Santuario – è proprio questo abbassarsi di Dio Trinità verso la creatura per attirarla a sé. In Dio la misericordia è però una cosa bene diversa dall’avere pietà. È piuttosto qualcosa di ben più profondo, perché la misericordia è l’amore stesso di Dio nell’atto di piegarsi continuamente verso l’uomo per attirarlo a sé. È – per usare un’immagine – una calamita che attira a sé ma, mentre attira a sé, si abbassa essa stessa verso la creatura. In breve: Misericordia significa riconoscere la dignità dell’altro e così risollevarlo[6].

 

6. Tutto ciò ci riporta alla memoria dell’amato papa Giovanni Paolo II, che proprio oggi a Roma viene proclamato beato. Fu proprio lui a volere che la seconda domenica di Pasqua si chiamasse anche «Domenica della Divina Misericordia»[7]. Lo stesso giorno in cui diede quest’annuncio, canonizzò anche suor Faustina Kowalska, una semplice suora di Cracovia, a cui il Signore affidò – a cavallo tra le due Guerre Mondiali – il Messaggio della Misericordia. «Figlia mia – aveva detto il Signore a suor Faustina –, parla a tutto il mondo della Mia inconcepibile Misericordia. Desidero che la festa della Misericordia sia di riparo e rifugio per tutte le anime […]. In quel giorno sono aperte le viscere della Mia Misericordia, riverserò tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della Mia Misericordia […]. Nessuna anima abbia paura di accostarsi a Me, anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto»[8]. Il Signore le aveva anche detto: «La festa della Misericordia è uscita dalle Mie viscere; desidero che venga celebrata solennemente la prima domenica dopo Pasqua. L’umanità non troverà pace finché non si rivolgerà alla sorgente della Mia Misericordia»[9].

 

7. E qual è – ci domandiamo – la sorgente della Misericordia? Qual è la sorgente dalla quale scaturisce quell’acqua pura capace di dare pienezza alla vita del mondo? Tutta la tradizione cristiana, come anche l’esperienza spirituale di Maccio, ci dicono che tale sorgente è unicamente l’eucaristia. È nell’eucaristia, infatti, che la Misericordia di Dio – manifestata soprattutto nella Pasqua – viene riversata nei nostri cuori.

Così possiamo dire che la Domenica della Divina Misericordia non distoglie la nostra attenzione dal mistero della Pasqua. Piuttosto, in questa domenica l’uomo è invitato ad adorare la Trinità Misericordia per l’opera che ha compiuto nella Pasqua. Anche Paolo sapeva che nella passione del suo Figlio, Dio aveva compiuto tutto; ciò nonostante poteva dire di sé che completava nella sua carne ciò che manca ai patimenti di Cristo (Col 1,24). Forse perché i patimenti di Cristo sarebbero imperfetti? No, semplicemente perché il mistero della Pasqua raggiunge la sua pienezza solo di fronte alla risposta dell’uomo. Potremo così dire che la Domenica della Divina Misericordia è la risposta riconoscente dell’uomo al dono della Pasqua.

 

8. Carissimi, anche oggi – primo giorno dopo il sabato (cf Gv 20,19) – il Signore viene a visitarci per donarci la sua pace, cioè – nel linguaggio biblico – la sua salvezza. Al tempo stesso, però, ci dona il suo Spirito e ci affida una missione: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21). La missione di Gesù – che con la sua vita ha introdotto nei rapporti umani l’«amore misericordioso» di Dio – continua ora nei suoi discepoli.

«Santissima Trinità, Misericordia infinita, io confido e spero in Te! Tu che ti sei donata tutta a me, fa’ che io mi doni tutto a Te! Rendimi testimone del tuo amore in Cristo, mio fratello, mio Redentore e mio Re».


[1] Letture della domenica: At 2,42-47; Sal 117; 1Pt 1,3-9; Gv 20,19-31.

[2] Cf Benedikt XVI, “Bleibt in meiner Liebe”. Katechesen über die Apostel, Freiburg – Basel – Wien 2007, 125.

[3] Cf Concilio Ecumenico Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 5, in EV/1, 7.

[4] Cf Giovanni Crisostomo, Catechesi quarta postbattesimale ai neoilluminati, 17-18, in L. Zappella, ed., Le catechesi battesimali, Milano 1998, 224.

[5] Cf X. Léon-Dufour, Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni, IV., L’ora della glorificazione (Capitoli 18-21), Cinisello Balsamo 19982, 316.

[6] Cf C. Schönborn, Abbiamo ottenuto misericordia. Il mistero della divina misericordia, Bologna 2011, 28.

[7] Cf Giovanni Paolo II, Omelia per la canonizzazione della beata Maria Faustina Kowalska (30 aprile 2000).

[8] M.F. Kowalska, Diario, 699.

[9] Ibidem.

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